Il credito di imposta non si azzera
Il «contribuente ben può godere del credito d’imposta vantato in forza del primo acquisto anche più volte, ovviamente fino a concorrenza dell’intera somma, qualora rivenda ed acquisti più volte nel rispetto delle condizioni previste dalla norma».
È quanto deciso dalla Corte di Cassazione la quale, con un importante sentenza ha chiarito che anche per gli acquisti successivi al primo, il contribuente può utilizzare il “credito di imposta”, c.d. “a catena”, ovverosia lo può utilizzare anche qualora il credito si sia formato in relazione ad un altro credito d’imposta concernente il precedente acquisto.
A tal proposito, ricordano i giudici che, in « tema di agevolazioni tributarie per l’acquisto della prima casa, ai sensi del comma 4, ultimo periodo, della nota II bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il contribuente che, venduto l’immobile nei cinque anni dall’acquisto, abbia acquistato, entro un anno da tale alienazione, un altro immobile, procedendo poi alla sua vendita ed all’acquisto infrannuale di un ulteriore immobile, può mantenere l’agevolazione solo se fornisce la prova che l’acquisto sia seguito dalla effettiva realizzazione della destinazione ad abitazione propria degli immobili acquisiti nelle singole transazioni in virtù del concreto trasferimento della residenza anagrafica nell’unità abitativa correlata».
Il principio dettato è espresso nel senso più favorevole per il contribuente e «mira a incentivare l’acquisto della prima casa beneficiando il contribuente autorizzandolo ad avvalersi più volte sempre del medesimo credito d’imposta, anche qualora quest’ultimo per motivi personali sia indotto a rivendere l’immobile acquistato per acquistarne altro più adatto alle mutate condizioni personali o familiari».
Per chiarire il principio espresso dai giudici della Corte di Cassazione, si faccia il seguente esempio (A.Busani, Prima casa, il bonus fiscale non si estingue mai, Il Sole 2 Ore del 4 febbraio 2016, Norme e Tributi): «immaginiamo, ad esempio, che: Tizio nel dicembre del 2011 abbia comprato la “prima casa” spendendo 900 euro per imposta di registro; nel maggio 2013 Tizio abbia venduto la casa e nel febbraio 2014 abbia comprato un’altra “prima casa”, con un atto che avrebbe dovuto scontare (se non ci fosse stato un credito d’imposta scomputabile) 1.300 euro per imposta di registro. In quell’occasione Tizio ha dovuto effettivamente sborsare 400 euro, perché ha portato in compensazione 900 euro di credito d’imposta.
Fin qui tutto chiaro. La situazione si fa complicata se si immagina che Tizio nel luglio 2015 abbia venduto la casa comprata nel 2014 e che, nel febbraio 2016, compri un’ulteriore “prima casa” con un atto per il quale siano dovuti 700 euro per imposta di registro. È la situazione che, nel gergo degli addetti ai lavori, è appunto definita come il problema del credito d’imposta “a catena”.
Quanto dunque deve effettivamente sborsare Tizio nel 2016? Almeno tre sono le alternative:
a) euro 700, perché ha consumato tutto il suo credito nel 2014;
b) euro (700 – 400 =) 300, e cioè l’importo che risulta sottraendo dalla tassazione teorica del 2016 quanto concretamente speso nel 2014;
c) euro zero, perché l’importo di 700 euro è totalmente assorbito dalla tassazione del febbraio 2014 (seppur l’esborso concreto sia stato di 400 euro, perché affievolito dall’utilizzo del credito d’imposta maturato ricomprando entro un anno dal maggio 2013)».
Cass.civ., sezione tributaria, sentenza del 3 febbraio 2016, n. 2072, in Il Sole 24 Ore del 4 febbraio 2016 – A.Busani