Divisione Ereditaria
di Elisabetta Smaniotto – Insignum Associazione di cultura giuridica
(Cass. civ., sez. trib., sentenza del 19 dicembre 2014, n. 27075, in Giust. Civ. Mass. 2014)
Il presente contributo viene proposto a seguito di un gruppo studi interno svoltosi il 24 febbraio 2015.
In particolare, uno degli argomenti oggetto di approfondimento è stato quello relativo all’applicazione, in caso di variazioni soggettive dei condividenti, della regola dettata nell’ultimo comma dell’art. 34 (Divisioni) del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, (GU n.99 del 30-4-1986 – Suppl. Ordinario), secondo il quale:
«4. Agli effetti del presente articolo le comunioni tra i medesimi soggetti, che trovano origine in piu’ titoli, sono considerate come una sola comunione se l’ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte».
Nell’occasione l’attenzione è stata posta, tra l’altro, sull’applicabilità o meno della regola ex art. 34 u.c., al caso in cui i condividenti (tali in forza di un ultimo titolo mortis causa) decidano di cedere tra essi stessi coeredi, una o più quote ricomprese nella massa ereditaria.
A tal fine, occorre richiamare recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (sez. trib., 19 dicembre 2014, n. 27075) secondo la quale «le variazioni soggettive dei comproprietari non comportano la creazione di “masse plurime”».
I giudici della Corte di Cassazione hanno affermato che «in tema d’imposta di registro (nonché ipotecaria e catastale), ai fini della tassazione della divisione tra coeredi, la cessione della quota di un coerede agli altri non determina l’acquisizione di nuovi beni alla massa dividenda, ma una semplice variazione di tipo soggettivo, che non altera l’oggetto della comunione, sicché ai sensi dell’art. 34, quarto comma, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la comunione dev’essere considerata come unica e di origine successoria».
Pertanto «non costituiscono autonomo titolo di acquisto gli atti afferenti quote ideali degli stessi beni della massa divisionale.
La regola di cui all’art. 34, comma 4, nell’ambito della disciplina complessiva, pone difatti un’eccezione finalizzata ad affermare che ove l’ultimo acquisto di beni sia avvenuto per successione mortis causa ([…] [nel caso concreto] i comproprietari di beni ereditano, in comunione pro indiviso e per quote uguali, un ultimo immobile), le comunioni, sebbene derivanti da titoli diversi, sono considerate come una sola comunione.
In questa prospettiva l’eccezione appunto prevista dal citato comma 4 considera come riferibile (ai fini dell’imposta di registro) a una sola massa la divisione finanche relativa a masse plurime, se l’ultimo titolo di acquisto di quote (in ordine di tempo) sia costituito da una successione mortis causa. Perchè appunto la norma presuppone sempre il rapporto tra il titolo e i beni di cui si compone la massa».
Nel caso concreto, l’ultimo titolo in forza del quale si era costituta la comunione era un atto inter vivos;tuttavia, la Corte di Cassazione ha evidenziato come si trattasse «di acquisto di una quota ideale dei medesimi beni già compresi nella massa ereditaria. Dunque, nel rapporto tra il titolo e la massa dei beni, la comunione era sempre quella causalisticamente ancorata al titolo successorio».
In base a tali principi è stato così confermato quanto stabilito dalla Commissione Tributaria Regionale di Torino con sentenza n. 20 depositata l’11 novembre 2008 (provvedimento impugnato), la quale aveva ritenuto che la cessione di quota da un coerede agli altri non avendo determinato in sè alcuna alterazione dell’oggetto della comunione, aveva rappresentato una variazione di tipo meramente soggettivo.
Alla luce di ciò, quindi, secondo la Corte di Cassazione, può essere fissato il seguente principio di diritto: «in tema di imposta di registro (nonchè di imposte ipotecaria e catastale), il DPR n. 131/1986, art. 34, comma 4^, suppone doversi tener conto, ai fini della tassazione della divisione tra coeredi, del rapporto genetico tra il titolo e la massa dividenda. Ne consegue che la cessione di una quota da un coerede a un altro, non determinando acquisizione di nuovi beni alla massa dividenda, va intesa come semplice variazione di tipo soggettivo, e questo, inalterato l’oggetto della comunione, postula che, fiscalmente, la comunione sia infine considerata pur sempre unica e di origine successoria».
Si richiamano inoltre:
*** Commiss. Trib. Prov. Torino, 11 novembre 2008, n. 60, in Pluris-on line (in Cass. 27075/2014), la quale aveva affermato che “l’atto di trasferimento della quota di proprietà della coerede […] aveva comportato una mera variazione soggettiva che non aveva alterato l’unicità della comunione ereditaria. Donde la fattispecie non potevasi considerare fiscalmente caratterizzata da masse plurime, come eccepito dall’ufficio, giacchè la massa era sempre rappresentata dagli stessi beni originariamente pervenuti per successione”;
*** Commiss. Trib. Prov. Pesaro, 28 maggio 2008, in Rep. Foro it., 2009, voce Divisione n. 37, secondo cui: “una volta riconosciuta la massa dei beni da dividere in base al titolo generativo della comunione, ogni evento modificativo della comproprietà dal punto di vista soggettivo rimane ininfluente ai fini della qualificazione dei beni stessi come comunione unitaria; pertanto, ai fini della configurazione del fenomeno delle masse plurime, non si può prescindere dalla pluralità dei titoli d’acquisto che le hanno generate, essendo, invece, totalmente ininfluente la pluralità degli atti traslativi di quote di comunioni preesistenti, che rappresentano un minus rispetto al titolo generativo di comunione; un fenomeno, cioè, non costitutivo ma meramente interno”;
*** Agenzia delle Entrate, circolare n. 18/E del 29 maggio 2013, secondo cui «il fenomeno delle c.d. masse plurime […] ricorre quando gli stessi soggetti risultano comproprietari di più beni derivanti da titoli originari diversi», e quindi «ogni titolo di acquisto genera una comunione e, perciò, ogni bene è oggetto di autonoma comunione», precisa che «non costituiscono autonomo titolo gli acquisti di quote ideali degli stessi beni della massa divisionale».
Risalente giurisprudenza sul punto aveva affermato qualora i beni che devono dividersi provengano da titolo diversi, tra i condividenti non si determina un’unica comunione, bensì, tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni; di conseguenza, nel caso in cui si proceda alla divisione di tali beni, non si realizza un’unica divisione, ma tante divisioni quanti sono i titoli costitutivi delle singole comunioni.
Tale orientamento è stato fatto proprio da:
*** Cass. 30 agosto 1947 n.1556 (in Giur.Imp.Dir. 1949, pag.360); confermata con la sentenza
*** Cass. S.U. 18 ottobre1961 n.2224 (in Foro It. 1962, I, p.1549; in Ced. Cass. Rv. 881051), che ha sancito il principio, secondo il quale “l’acquisto di beni in comunione, attraverso titoli diversi, dà luogo alla “sommatoria” di tante comunioni ciascuna regolata dal suo titolo […] Ciascun compartecipe non vanta sulla totalità dei beni, che deriva dalla somma di tutti i beni delle diverse comunioni, un diritto unico, ma tanti diritti, ciascuno per la quota corrispondente ad ogni titolo e relativo ai beni acquistati da quel titolo”.
Infine, si richiamano ancora i seguenti contributi:
*** CNN Notizie- Notiziario d’informazione del Consiglio Nazionale del Notariato del 05/02/2015;
*** Formica, Divisione – masse plurime , studio n. 89-2003/T, pubblicato nella rivista Studi e materiali CNN, Milano, 2/2004, p. 864;
*** A. Busani, L’imposta di registro, Milano, 2009, 837 ss